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La Pinacoteca di Brera è una galleria nazionale d'arte antica e moderna, collocata nell'omonimo palazzo, uno dei complessi più vasti di Milano con oltre 24 000 metri quadri di superficie. Il museo espone una delle più celebri raccolte in Italia di pittura, specializzata in pittura veneta e lombarda, con importanti pezzi di altre scuole. Inoltre, grazie a donazioni, propone un percorso espositivo che spazia dalla preistoria all'arte contemporanea, con capolavori di artisti del XX secolo. Un tratto caratteristico di Brera, che lo differenzia da altri musei italiani, è la presenza di grandi capolavori di diverse scuole: lombarda, toscana e dell’Italia Centrale, veneta oltre che di dipinti importanti di scuola fiamminga. Questo deriva dall’impostazione data al museo fin dall’epoca napoleonica, quando fu concepito come luogo rappresentativo di tutta l’arte italiana di ogni epoca e di ogni regione, accogliendo opere prelevate da chiese e conventi (parte dei quali soppressi), nell’ottica illuministica e “rivoluzionaria” (che condivide con il Louvre) di mettere a disposizione del pubblico quadri fino allora difficilmente accessibili. Nell’ottobre 2018 si è concluso il riallestimento di tutte le 38 sale, promosso dal direttore James Bradburne, nominato nel 2015.
La Galleria degli Uffizi è un museo statale di Firenze, che fa parte del complesso museale denominato Gallerie degli Uffizi e comprendente, oltre alla suddetta galleria, il Corridoio Vasariano, le collezioni di Palazzo Pitti e il Giardino dei Boboli, che insieme costituiscono per quantità e qualità delle opere raccolte uno dei più importanti musei del mondo. Vi si trovano la più cospicua collezione esistente di Raffaello e Botticelli, oltre a nuclei fondamentali di opere di Giotto, Tiziano, Pontormo, Bronzino, Andrea del Sarto, Caravaggio, Dürer, Rubens ed altri ancora. Mentre a Palazzo Pitti si concentrano le opere pittoriche del Cinquecento e del Barocco (spaziando da Giorgione a Tiziano, da Ribera a Van Dyck), ma anche dell'Ottocento e Novecento italiano, il corridoio Vasariano ospitava fino al 2018 parte della Collezione di Autoritratti (oltre 1.700), che prossimamente sarà ospitata nella Galleria delle Statue e delle Pitture. Il museo ospita una raccolta di opere d'arte inestimabili, derivanti, come nucleo fondamentale, dalle collezioni dei Medici, arricchite nei secoli da lasciti, scambi e donazioni, tra cui spicca un fondamentale gruppo di opere religiose derivate dalle soppressioni di monasteri e conventi tra il XVIII e il XIX secolo. Divisa in varie sale allestite per scuole e stili in ordine cronologico, l'esposizione mostra opere dal XII al XVIII secolo, con la migliore collezione al mondo di opere del Rinascimento fiorentino. Di grande pregio sono anche la collezione di statuaria antica e soprattutto quella dei disegni e delle stampe che, conservata nel Gabinetto omonimo, è una delle più cospicue ed importanti al mondo. Nel 2019 ha registrato 2.361.732 visitatori (dati Mibact).
Il Rinascimento nacque ufficialmente a Firenze, città che viene spesso indicata come la sua culla. Questo nuovo linguaggio figurativo, legato anche a un diverso modo di pensare l'uomo e il mondo, prese le mosse dalla cultura locale e dall'umanesimo, che già nel secolo precedente era stato portato alla ribalta da personalità come Francesco Petrarca o Coluccio Salutati. Le novità, proposte nei primissimi anni del XV secolo da maestri quali Filippo Brunelleschi, Donatello e Masaccio, non furono immediatamente accolte dalla committenza, anzi rimasero almeno per un ventennio un fatto artistico minoritario e in larga parte incompreso, a fronte dell'allora dominante gotico internazionale. In seguito il Rinascimento divenne il linguaggio figurativo più apprezzato e iniziò a trasmettersi anche alle altre corti italiane (prime fra tutte quella papale di Roma) e poi europee, grazie agli spostamenti degli artisti. Lo stile del Rinascimento fiorentino, dopo i primordi del primo ventennio del Quattrocento, si diffuse con entusiasmo fino alla metà del secolo, con esperimenti basati su un approccio tecnico-pratico; la seconda fase ebbe luogo all'epoca di Lorenzo il Magnifico, dal 1450 circa fino alla sua morte nel 1492, e fu caratterizzata da una sistemazione più intellettualistica delle conquiste. Segue un momento di rottura, dominato dalla personalità di Girolamo Savonarola, che segna profondamente molti artisti convincendoli a un ripensamento delle loro scelte. L'ultima fase, databile tra il 1490 e il 1520, è detto Rinascimento "maturo", e vede la presenza a Firenze di tre geni assoluti dell'arte, che tanto influenzarono le generazioni a venire: Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio. Per il periodo successivo si parla di Manierismo.
Il Futurismo è stato un movimento letterario, culturale, artistico e musicale italiano dell'inizio del XX secolo, nonché la prima avanguardia europea. Ebbe influenza su movimenti affini che si svilupparono in altri paesi d'Europa, in Russia, Francia, negli Stati Uniti d'America e in Asia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione, dalla pittura alla scultura, alla letteratura (poesia e teatro), la musica, l'architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. La denominazione del movimento si deve al poeta italiano Filippo Tommaso Marinetti.
Il tardo gotico è una fase della storia dell'arte europea, collocabile tra il 1370 circa e buona parte del XV secolo, con alcune zone dove si prolungò a oltranza fino al XVI secolo. Si tratta di uno dei linguaggi figurativi fondamentali, assieme al Rinascimento fiorentino e fiammingo, che caratterizzarono il Quattrocento. Fu un fenomeno legato soprattutto alle corti rinascimentali ed ebbe una diffusione piuttosto uniforme in tutta Europa, favorita dai frequenti scambi di oggetti d'arte e di artisti stessi tra i centri dell'Italia Settentrionale, dell'Italia Meridionale, della Francia e della Germania. Il tardo gotico mantenne un ruolo dominante e un'importante diffusione per tutta la prima metà del XV secolo; l'Arte del Rinascimento infatti, sviluppatasi a Firenze a partire dagli anni venti del Quattrocento, faticò ad affermarsi in Italia fino alla seconda metà del secolo, e non fu recepito a breve negli altri paesi europei; in questi contesti il tardo gotico rimase il punto di riferimento principale per la gran parte della committenza. In questo periodo più che mai le arti figurative non furono un riflesso di fenomeni storici o sociali, ma svolsero il ruolo di compensazione fantastica attraverso l'evocazione di un mondo perfetto e aristocratico. Tra i più noti artisti dell'epoca tardo gotica ci furono il Pisanello, Gentile da Fabriano, Paolo Uccello e il Beato Angelico in Italia, Claus Sluter e i fratelli Limbourg in Francia, Stephan Lochner in Germania, e altri. In Italia ne risentì fortemente anche Masolino da Panicale.
Iro Magnanini, da tutti conosciuto come Renzo Magnanini (Gonzaga, 18 ottobre 1920 – Bentivoglio, 12 agosto 2006), è stato un pittore e scultore italiano. Pittore e scultore, persona di fede, ha realizzato molti quadri di soggetto religioso; si è dedicato in genere alla rappresentazione della figura umana. Molti suoi quadri raffigurano giovani madri insieme ai figli piccoli e sono accomunati da un particolare: la madre non guarda il figlio. Ha realizzato anche molte sue nature morte, nonché paesaggi e soggetti floreali. Si è formato all’Accademia di Venezia e con la frequentazione delle botteghe di pittura di Ardengo Soffici e di Gino Scarpa. È stato combattente in Africa Orientale negli anni ’40. Tornato dalla prigionia in Sudafrica nel 1948 ha ripreso la sua attività artistica che ha portato avanti per tutta la vita. Sue opere sono esposte nella Galleria d’Arte Moderna di Pretoria e di Johannesburg, nella basilica di San Domenico a Bologna, nel museo russo di Yaroslav e nel famoso museo di Stato russo Ermitage di San Pietroburgo.
Pittura storica è un genere di pittura definita dal suo soggetto, piuttosto che dallo stile artistico. I dipinti storici di solito raffigurano un momento di una storia narrativa, piuttosto che un argomento specifico e statico, come in un ritratto. Il termine deriva dal più ampio senso della parola historia in latino, che significa "storia" o "narrativa", e significa essenzialmente "pittura su fatto storico". La maggior parte dei dipinti storici non sono costituiti da scene tratte dalla storia, in particolare per i dipinti prima del 1850. In inglese moderno, pittura storica è talvolta usato per descrivere la pittura di scene tratte dalla storia in senso stretto, in particolare per l'arte del XIX secolo, esclusi i soggetti religiosi, mitologici e allegorici, che sono inclusi nel termine più ampio di pittura di storia e prima del XIX secolo sono stati i soggetti più comuni per quadri di storia. I dipinti storici contengono quasi sempre un numero di figure, spesso un gran numero, e normalmente mostrano qualche tipo di azione che è un momento in una narrazione. Il genere comprende rappresentazioni di momenti di narrazioni religiose, soprattutto la vita di Cristo e scene narrative della mitologia oltre che allegoriche. Questi gruppi furono per lungo tempo l'argomento della maggior parte dei dipinti; opere come la Volta della Cappella Sistina Michelangelo sono quindi dipinti storici, come lo sono la maggior parte di molti grandi dipinti prima del XIX secolo. Il termine comprende grandi dipinti a olio su tela o ad affresco prodotti tra il Rinascimento e il tardo XIX secolo, dopo di che il termine non è generalmente utilizzato anche per le tante opere che ancora soddisfano la definizione di base.Pittura storica viene normalmente intercambiato con il termine pittura di storia, che venne usato specialmente prima del XX secolo. Qualora si faccia una distinzione la "pittura di storia" è la pittura di scene tratte dalla storia laica, episodi specifici o scene generalizzate. Nella pittura storica del XIX secolo, è diventato un genere distinto. In frasi come "materiali di pittura di storia" e "storico" significano in uso prima o intorno al 1900, o una data precedente. I dipinti storici sono stati tradizionalmente considerati come la più alta forma della pittura occidentale, che occupa il posto più prestigioso nella gerarchia dei generi ed è considerata l'equivalente della poesia epica in letteratura. Nel suo De Pictura, del 1436, Leon Battista Alberti aveva sostenuto che la pittura storica era la forma più nobile dell'arte, come la più difficile, che richiedeva padronanza in tutti gli altri generi, perché era una forma visiva della storia, e perché aveva il maggior potenziale per attrarre lo spettatore. Egli pose l'accento sulla capacità di rappresentare le interazioni tra le figure riconoscibili dai gesti e dalle espressioni dei personaggi.Questo punto di vista rimase inalterato fino al XIX secolo, quando i movimenti artistici cominciarono a lottare contro le istituzioni che avevano codificato l'arte accademica e che continuavano a seguirne le regole. Allo stesso tempo, verso la fine del XVIII secolo vi fu un crescente interesse nel descrivere nella forma di pittura di storia alcuni momenti del dramma della storia recente o contemporanea, che erano a lungo e in gran parte stati confinati nelle scene di battaglia e scene di rese formali e simili. Scene tratte dalla storia antica erano state popolari nel primo Rinascimento, e ancora una volta divennero comuni nel barocco e nel rococò, e ancora di più con il passaggio al Neoclassicismo. In alcuni contesti del XIX e XX secolo, il termine può riferirsi specificamente ai dipinti di scene dalla storia laica, piuttosto che a quelli dei racconti religiosi, della letteratura o della mitologia.
Scudo con testa di Medusa è il soggetto di un dipinto realizzato circa nel 1598 dal pittore italiano Michelangelo Merisi da Caravaggio, conservato presso la Galleria degli Uffizi di Firenze.
Giuditta e Oloferne è un dipinto a olio su tela (145x195 cm) realizzato nel 1597 circa dal pittore italiano Caravaggio.
Il Ritratto di giovane donna è un dipinto a tempera su tavola (61x40 cm) di Sandro Botticelli, databile al 1475 circa e conservato nella Galleria Palatina di Firenze.
Con scuola bolognese di pittura si intende quel complesso insieme di pittori – accomunati dal luogo di origine o di intensa attività nella città di Bologna –, attivo continuativamente, con vicende e fortune molto diverse, dal XIV al XX secolo. Il nucleo di opere più significativo di tale scuola, è conservato presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna. Lo storico dell'arte Roberto Longhi è stato tra i primi studiosi ad aver operato, in epoca contemporanea, la sistematica riscoperta di una rilevante ed autonoma tradizione locale sin dal Trecento: nella sua celebre prolusione del 1934 in occasione dell'apertura dell'anno accademico dell'Università di Bologna, presso la quale era docente, delineava il cammino, caratterizzato da un filo comune, della pittura bolognese, partendo dalle opere dei primi maestri trecenteschi come Vitale da Bologna e Simone dei Crocefissi, per arrivare sino alla pittura di Giorgio Morandi, dal Longhi stesso considerato il più grande pittore figurativo del XX secolo. Il periodo di maggiore fioritura e rilevanza a livello internazionale, è generalmente considerato quello tra il XVI e il XVII secolo, periodo dell'attività dei Carracci e dei loro allievi e discepoli, concentrata, soprattutto, tra Bologna e Roma. Come il Vasari per la pittura toscana, anche Bologna può vantare un illustre storico e biografo locale: il conte Carlo Cesare Malvasia, autore dell'opera Felsina pittrice, pubblicata a Bologna nel 1678.
Il Ritratto di giovane è un dipinto a tempera su tavola (51x33,7 cm) di Sandro Botticelli, databile al 1470 circa e conservato nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze.
Luca Giordano (Napoli, 18 ottobre 1634 – Napoli, 12 gennaio 1705) è stato un pittore italiano, attivo soprattutto a Napoli, Firenze, Madrid e Roma. È conosciuto anche con il soprannome di "Luca Fapresto" ("Luca fai presto"), soprannome datogli mentre stava lavorando nella chiesa di Santa Maria del Pianto a Napoli, quando dipinse in soli due giorni le tele della crociera. Il soprannome era tuttavia dato anche per la sua sorprendente velocità nel copiare i grandi maestri del Cinquecento, tra cui Raffaello, Tiziano e Paolo Veronese, ma guardando anche al naturalismo di Caravaggio e Jusepe de Ribera e agli apripista del barocco come Pieter Paul Rubens, Giovanni Lanfranco e Pietro da Cortona.
Pietro di Cristoforo Vannucci, noto come il Perugino, Il divin pittore o come Pietro Perugino (Città della Pieve, 1448 circa – Fontignano, febbraio 1523), è stato un pittore e imprenditore italiano. Titolare in contemporanea di due attivissime botteghe, a Firenze e a Perugia, fu per un paio di decenni il più noto e influente pittore italiano del suo tempo, tanto da essere definito da Agostino Chigi: "il meglio maestro d’Italia” . Frequentò la bottega del Verrocchio insieme a Botticelli e Leonardo da Vinci. È considerato uno dei massimi esponenti dell'umanesimo ed il più grande rappresentante della pittura umbra del XV secolo. Collaborò nelle decorazioni della Cappella Sistina con Sandro Botticelli, dove dipinse la sua opera più famosa, Consegna delle chiavi. Morì a Fontignano, frazione di Perugia nel 1523, luogo in cui aveva cercato rifugio dalla peste bubbonica. Fuse insieme la luce e la monumentalità di Piero della Francesca con il naturalismo e i modi lineari di Andrea del Verrocchio, filtrandoli attraverso i modi gentili della pittura umbra. Fu maestro di Raffaello.
Pietro da Cortona, nato come Pietro Berrettini (Cortona, 1º novembre 1596 – Roma, 16 maggio 1669), è stato un pittore e architetto italiano. Fu tra i massimi interpreti del primo Barocco, in pittura e in architettura, autore di alcune delle più celebri creazioni del barocco romano quali la chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro Romano, e il Trionfo della Divina Provvidenza in Palazzo Barberini.
Paolo Caliari, detto il Veronese (Verona, 1528 – Venezia, 19 aprile 1588), è stato un pittore italiano del Rinascimento, cittadino della Repubblica Veneta attivo a Venezia e in altre località del Veneto. Caliari è noto in particolare per i suoi dipinti a soggetto religioso e mitologico di grande formato, come Nozze di Cana (1563), Cena a casa di Levi (1573) e Trionfo di Venezia (1582). Pittore della scuola veronese, si formò nella bottega di Antonio Badile e iniziò ben presto a ricevere importanti committenze, anche grazie al legame con il celebre architetto Michele Sanmicheli con cui instaurò una prolifica collaborazione. Insieme a Tiziano, più anziano di una generazione, e a Tintoretto, Paolo Veronese è considerato uno del "grande trio che ha dominato la pittura veneziana del cinquecento". Conosciuto come un ottimo colorista, dopo un iniziale periodo manierista, sviluppò uno stile naturalistico sotto l'influenza di Tiziano. Le sue opere più famose sono elaborati cicli narrativi, eseguiti in uno stile drammatico e colorato, pieno di maestosi scenari architettonici e sfarzosi dettagli. Sono particolarmente famosi i suoi grandi dipinti rappresentanti feste bibliche, affollati di figure, che dipinse per refettori di monasteri a Venezia e Verona. Fu anche il principale pittore veneziano di soffitti. Essendo dipinte per la decorazione di palazzi ed edifici pubblici, la maggior parte di queste opere rimane ancora oggi in situ, come nel caso dei dipinti per Palazzo Ducale a Venezia, per la chiesa di San Sebastiano e per Villa Barbaro, o almeno a Venezia, mentre le sue opere conservate nei musei, come i ritratti, hanno dimensioni più contenute e non sempre mostrano il carattere più tipico del pittore. Caliari è sempre stato apprezzato per "la brillantezza cromatica della sua tavolozza, per lo splendore e la sensibilità della sua pennellata, per l'eleganza aristocratica delle sue figure e per la magnificenza del suo spettacolo", ma il suo lavoro è stato percepito "per non consentire l'espressione del profondo, umano o sublime. Del "grande trio" è stato il meno apprezzato dalla critica moderna. L'opera di Paolo ha anticipato l'arte barocca, ispirando numerosi artisti come Annibale Carracci, Sebastiano Ricci, Pietro da Cortona, Giambattista Tiepolo, fino a Eugène Delacroix.
I furti napoleonici, o più correttamente “spoliazioni napoleoniche”, furono una serie di sottrazioni di beni, in particolare opere d'arte (ed in genere di opere preziose), attuate dall'esercito francese (o da funzionari napoleonici) nei territori del Primo Impero francese, quali la penisola italiana, la Spagna, il Portogallo, i Paesi Bassi e il Belgio, l'Europa centrale. Le spoliazioni vennero costantemente perpetrate nell'arco di venti anni, dal 1797 fino al Congresso di Vienna nel 1815. Secondo lo storico Paul Wescher, le spoliazioni napoleoniche rappresentarono "il più grande spostamento di opere d'arte della storia", che provocò anche diversi danni in quanto "è difficile stabilire con esattezza quante opere d'arte di valore unico andarono distrutte o disperse in quei giorni".Durante il Congresso di Vienna, Austria, Spagna, stati tedeschi e Inghilterra ordinarono l'immediata restituzione di tutte le opere sottratte "senza alcun negoziato diplomatico" sostenendo come "la spoliazione sistematica di opere d'arte è contraria ai principi di giustizia e alle regole della guerra moderna". Venne in fine affermato il principio di come non ci potesse essere alcun diritto di conquista che permettesse alla Francia di detenere il frutto di spoliazioni militari e che tutte le opere d'arte dovessero essere restituite. Secondo la storica Mackay Quynn, gli stati europei, ma specilamente quelli italiani separati dalle Alpi dalla Francia, si trovarono davanti ad elevatissimi costi di trasporto e all'ostinata resistenza dell'amministrazione francese. I Prussiani, vedendosi negato l'accesso alle gallerie del Musée Napoléon, minacciarono di spedire in prigione in Prussia il Direttore Vivant Denon in persona se questi non avesse lasciato agire i propri ufficiali. La strategia dovette funzionare, se in meno di qualche settimana tutti i capolavori dei Prussiani erano pronti per l'imballaggio fuori dai cancelli dell'ex Musée Napoléon, divenuto Louvre. La Spagna inviò funzionari dell'esercito insieme a un discreto numero di militari prima delle conclusioni del Congresso di Vienna, i quali, rompendo i portoni del Musée Napoléon, si ripresero tutte le opere con la forza. Anche Belgio ed Austria mandarono il proprio esercito, senza attendere la conclusione del Congresso di Vienna. Giova ricordare come i furti napoleonici ebbero lunghi strascichi nella storia europea. Durante la guerra franco-prussiana, la Germania di Bismarck chiese alla Francia di Napoleone III la restituzione delle opere d'arte ancora detenute dai tempi delle spoliazioni napoleoniche ma che non erano state restituite.Per quanto riguarda le città italiane, queste si mossero disunite, lente e disorganizzate, prive del supporto di un esercito nazionale, di un corpo diplomatico motivato, e nel disinteresse delle dinastie straniere ai simboli nazionali, oltre che a pagare di tasca propria le spese di spedizione. In Italia le spoliazioni napoleoniche erano sconfinate nelle ruberie e nel vandalismo. Secondo lo storico dell'arte Steinman, gli ufficiali francesi progettarono di staccare gli affreschi di Raffaello dalle Stanze Vaticane e di spedire in Francia la Colonna Traiana. I napoleonici fusero il tesoro della Basilica di San Marco, bruciarono il Bucintoro, la nave ammiraglia della flotta, per ottenerne l'oro delle decorazioni e pagare l'esercito, smantellando l'Arsenale di Venezia, ancora colmo dei trofei militari della Serenissima. I napoleonici tagliarono a pezzi il più grande Rubens in Italia, la Trinita Gonzaga, per poterlo vendere meglio sul mercato, mentre i due pannelli laterali vennero spediti a Nancy e ad Anversa, dove ancora oggi si trovano. Alla ricerca di oro, gli ufficiali francesi tentarono anche di fondere le opere del manierista Benvenuto Cellini. Per la Lombardia e il Veneto, che erano sotto gli Asburgo d'Austria, il governo di Vienna negoziò ma non richiese le opere d'arte portate via dalle chiese, come l'Incoronazione di spine è di Tiziano, commissionata per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, che non fu restituita perché non fu richiesta ufficialmente al Governo francese. Il governo toscano, sotto gli Asburgo-Lorena, non richiese i capolavori sottratti alle chiese sostenendo che sarebbero serviti a pubblicizzare la grandiosità dell'arte toscana, lasciando così in Francia capolavori assoluti quali le stigmate di San Francesco di Giotto, la Maestà di Cimabue o L'Incoronazione della Vergine del Beato Angelico. Per Parma, sotto ex-moglie di Napoleone, Maria Luigia, adottò un'istanza mediatrice, lasciando metà delle opere in Francia e rimpatriandone laltra metà. Il governo pontificio preferì non richiedere tutto, soprattutto i quadri conservati nei musei delle province francesi come molti Perugino sottratti alle chiese di Perugia, per non turbare la ri-cristianizzazione delle campagne francesi uscite dal giacobinismo. Antonio Canova, delegato dallo Stato della Chiesa ai rimpatri, era dotato di documentazione archivistica assai limitata, e si affidava ai funzionari dell'esercito austriaci. Secondo il catalogo del Canova, dei 506 dipinti portati in Francia, 248 rimasero in Francia, 249 tornarono in Italia, 9 vennero indicati come non rintracciabili, raro caso in Europa di opere catalogate e non restituite.
Giotto Di Bondone (forse ipocoristico di Ambrogio (Ambrogiotto), o Angelo, Parigiotto, Ruggero (Ruggerotto), o ancora da Biagio, senza escludere l’ipotesi che Giotto possa essere un nome proprio), conosciuto semplicemente come Giotto (Colle di Vespignano, 1267 – Firenze, 8 gennaio 1337) è stato un pittore e architetto italiano.
Per pittura napoletana si intende quell'attività creativa pittorica che abbraccia un arco di tempo che va dal XVII alla prima metà del XX secolo e che ha interessato la città di Napoli influenzando poi tutto il meridione. Tra le principali città d'arte europee, Napoli può vantare una lunga tradizione artistica sebbene non si sia potuta riscontrare una vera e propria scuola pittorica continuativa nei secoli e nota sul piano europeo. Tuttavia importanti e numerose correnti artistiche si sono affermate nel corso dei secoli nella città partenopea grazie al suo cosmopolitismo, che l'ha portata a contatto prima con la pittura senese e poi a quella emiliana, alla presenza di sovrani illuminati come Roberto d'Angiò e Carlo di Borbone e grazie anche al passaggio in città di Caravaggio, il cui arrivo, avvenuto nel XVII secolo, fu determinante per la nascita della pittura napoletana strettamente intesa con la conseguente fioritura in città di un cospicuo numero di seguaci che contribuirono considerevolmente alla nascita della corrente del caravaggismo. Nel corso del XIX secolo la pittura napoletana assunse una maggiore consapevolezza individuale grazie all'Accademia di Belle Arti che formò un importante numero di artisti, dei quali, una parte di questi, costituì la cosiddetta scuola di Posillipo, all'avanguardia nella pittura di paesaggio.